Le costole le facevano ancora
male.
Ma poteva starsene finalmente da sola, in una stanzetta
della clinica, le infermiere erano professionali, il cibo passabile, poteva
finalmente leggere un libro - da quando non leggeva? - e scuotersi dalla solita
apatia.
Un piano preciso stava prendendo forma nella sua
mente.
Lui veniva il sabato: la prima volta le aveva portato un
fascio di fiori, che lei aveva fatto portare subito fuori, l’avevano messo
davanti alla statua della Madonna, le avevano detto, ma se lo avessero buttato,
per lei avrebbe fatto lo stesso.
Ogni volta lui le chiedeva: Va meglio?Vedrai, un mese passa presto.
Quando sarai tornata, ricominceremo tutto daccapo. Sono cambiato,
sai?
Lei rispondeva con un pallido sorriso o con un vago cenno
di assenso.
La domenica il marito si sarebbe incontrato con i soliti
amici, due ingegneri come lui, con le rispettive mogli: erano borghesi
conformisti e superficiali, solo una delle donne, Vera, sempre piuttosto
taciturna, ma con lo sguardo penetrante, le era sembrata più intelligente e
disponibile.
Le mandavano i saluti, erano anche andati a farle visita,
una volta, ma lei aveva finto di essere molto stanca, per congedarli al più
presto.
Si sentiva così lontana, staccata da tutto, li aveva
guardati come fossero estranei, anche lui, un estraneo,
oramai.
Non avrebbe saputo dire come era cominciato, come era
caduta in quella trappola, come si era trovata stretta in quella morsa, com’era
scivolata in quel pozzo senza fondo…
Da che era in clinica, le capitava di pensare spesso a
sua madre, risentiva l’acuto dolore della sua
perdita.
Sua madre, così attiva, allegra, affettuosa e
sfortunata…
Si era sposata molto giovane, ma dopo appena due anni di
matrimonio il marito, ufficiale dell’aviazione, era morto in un’azione di guerra
in Afganistan, lasciandola sola con un bambino di appena un
anno.
Dopo otto anni si era risposata col suo capufficio, un
brav’uomo, ma Giorgio, il figlio, non lo aveva mai veramente accettato
quell’estraneo venuto tutt’a un tratto a dormire con la sua mamma, e aveva
ostinatamente continuato a chiamarlo signor
Michele.
La sorellina però l’aveva accolta di buon grado, aveva
suggerito lui il nome, Irene e ci aveva pazientemente giocato: le faceva cento
scherzi, la faceva ridere, anche quando era diventata adolescente.
Dopo la laurea in legge però era subito andato via da
casa, a lavorare nello studio di un suo amico avvocato, a Firenze, lasciandole
un gran vuoto intorno e nell’anima.
La madre poco dopo si era ammalata di cancro alle ossa,
in casa era entrata un’infermiera rumena, Rodica, giovane e belloccia, che pian
piano aveva assunto il ruolo di governante e quando la madre era morta, dopo una
lunga straziante agonia, si era fatta sposare dal padrone di casa, ma chi sa da
quando erano già amanti, prima ancora che la povera malata finisse di
soffrire…
Non gliene aveva fatto un torto, a suo padre, ma aveva
desiderato ardentemente andarsene anche lei da
casa.
A un ricevimento dato dal solito riccone della classe,
che aveva riunito a casa sua gli ex compagni di liceo, aveva conosciuto Paolo,
di dieci anni più grande di lei, che le aveva subito fatto una corte insistente.
Era affettuoso, pieno di premure. Lei si era lasciata conquistare, aveva
interrotto gli studi di Giurisprudenza (intrapresi con l’intenzione di andare a
lavorare presso Giorgio) e aveva accettato di sposarsi dopo nemmeno un anno di
fidanzamento.
Il padre non aveva osato contrastarla, ma si vedeva che
non era contento e che si sentiva un po’ colpevole. Rodica, la badante (così
Irene continuava a chiamarla in
cuor suo) aveva subito approvato.
Giorgio era venuto al matrimonio e non aveva nascosto la
sua perplessità per quella decisione che gli sembrava
avventata.
All’inizio era sembrato tutto normale: Irene aveva
seguito il marito da Napoli a Roma, abitavano in un bell’appartamento, vicino ai
giardini dell’Eur, e lei si era dedicata con entusiasmo alla vita domestica, le
piaceva cucinare, ci metteva impegno e fantasia.
Lui a letto era un amante
appassionato.
Poi: - quando, perché? - erano arrivati gli
schiaffi.
Le prime volte lui si era detto pentito, le portava i
fiori, giurava che non sarebbe mai più accaduto, che si sarebbe sottoposto alla
terapia di coppia..
Lei ogni volta gli aveva creduto, anche perché alle
violenze seguivano periodi di rinnovato amore romantico, di rinnovata passione
da parte del marito e così si era convinta di poterlo cambiare, con l’affetto e
la pazienza.
Invece lui col tempo si era incattivito, dagli schiaffi
era passato alle percosse, agli spintoni, perfino ai calci: le tirava i capelli,
le storceva le braccia, la prendeva per il
collo…
A tutto ciò si aggiungevano le violenze psicologiche: le
aveva fatto il vuoto intorno, controllava puntigliosamente l’accesso alle
finanze familiari e soprattutto l’accusava di essere lei la causa scatenante
delle sue reazioni…
Lei a poco a poco era caduta in uno stato di confusione e
disorientamento, cercava solo di eliminare tutte le possibili fonti di litigio,
ma gli episodi di violenza erano imprevedibili e alimentavano in lei la perdita
dell’autostima, non sentendosi in grado di gestire la
situazione.
Aveva imparato a nascondere, con vari strati di
fondotinta sovrapposti, l’occhio nero, la palpebra tumefatta, o a disporre i
capelli pettinandoli in avanti per coprire i lividi evidenti sul
collo..
Erano passati così quattro anni: quattro anni!
Ora le sembrava tutto così assurdo, un vero
incubo…
Aveva tentato una volta, per telefono, di accennarne
timidamente alla suocera, ma quella l’aveva subito zittita: Figlia mia, gli uomini vanno presi per il
loro verso, mettici la buona volontà e vedrai che tutto si
sistema…
Una volta, nella toilette del bar in cui si riunivano la
domenica, Vera l’aveva sorpresa mentre si toglieva un momento, davanti allo
specchio, i grandi occhiali da sole che portava per coprire un livido intorno
all’occhio, l’aveva guardata col suo sguardo indagatore e le aveva detto: Se hai bisogno di aiuto,
chiamami.
Con suo padre e con Giorgio ormai si telefonava solo in
occasione delle ricorrenze: Pasqua, le feste natalizie, i compleanni, poche
frasi convenzionali: sto bene, auguri, il
tempo…
Non li aveva più visti dal giorno del
matrimonio.
Aveva portato in assoluta solitudine quel pesante
fardello segreto…
Il marito, quand’era in compagnia degli amici, era
allegro, tutto battute e spiritosaggini…
Due mesi prima le erano mancate le mestruazioni. Aveva
comprato il test di gravidanza in farmacia, lo aveva fatto tremando, senza
sapere quale responso desiderare…
Il test era risultato
positivo.
Cominciavano a darle fastidio alcuni odori, si sentiva
stanca, un giorno che aveva cucinato svogliatamente, Paolo si era irritato,
arrivati al solito caffè, lui si era messo a fumare, l’odore le aveva provocato
il vomito ed era corsa in bagno.
Lui l’aveva seguita, vedendola curva sul lavandino a
vomitare, le aveva dato uno spintone, gridando: Che cazzo
fai?
Lei aveva perso l’equilibrio, era caduta sul bordo della
vasca da bagno, sentendo un dolore insopportabile.
Perfino lui si era spaventato ai suoi lamenti e l’aveva
accompagnata al Pronto Soccorso (non senza raccomandarle di dire che era
inciampata), dove le avevano fatto la radiografia: due costole
rotte.
Prognosi, trenta giorni. Li stava trascorrendo in quella
clinica, tra una settimana sarebbe uscita.
Si sentiva come una che si è finalmente svegliata da un
incubo.
Non aveva che un pensiero fisso: fuggire, salvare se
stessa e il bambino.
Il bambino! Un’onda di tenerezza e di smarrimento la
sommergeva quando ci pensava e cominciava a piangere, di dolcezza e di paura, di
preoccupazione e di attesa.
In clinica aveva fatto la prima ecografia: eccolo lì il
suo bambino, un piccolo essere in formazione, ma vivo e vitale, che chiedeva di
crescere, chiedeva amore e sicurezza, serenità e
attenzione.
La busta con la lastra la teneva sotto il cuscino, era la
sua ricchezza, l’autorizzazione ad uscire dal carcere in cui era stata
rinchiusa, il suo passaporto per il futuro.
Telefonò a Vera, le raccontò tutto, organizzarono la fuga
approfittando del fatto che Paolo era andato fuori per ragioni di lavoro e
sarebbe tornato il sabato successivo a
prenderla.
Vera ammise che aveva capito da tempo, osservandola, che
Paolo la picchiava e che aveva avuto un’accesa discussione con suo marito, il
quale si era rifiutato di parlarne con l’amico e l’aveva accusata di avere le
traveggole, comunque non spettava a lui intervenire, mettere il dito tra moglie e
marito.
Il venerdì mattina Irene lasciò la clinica, accompagnata
da Vera, che l’aiutò a fare le valigie e poi a salire nel treno diretto a
Napoli.
Non aggiunsero parole a quello che si erano già detto per
telefono, al momento del congedo, Vera l’abbracciò augurandole Buona fortuna. Erano entrambe
commosse.
Durante quell’ora di viaggio Irene scoprì che si sentiva
forte come non mai e che la fonte di quella forza era dentro di lei, saliva
dalle viscere e si riversava nel sangue, dandole una sensazione di sicurezza che
da anni non ricordava più di aver provato. Un figlio! Ora il suo vuoto interiore
si era finalmente colmato di fiducia e di attesa: Un figlio, per dare voce
d’amore all’anima inerte…
Lasciò le valigie in stazione e arrivò in taxi a casa del
padre.
Le aprì la porta Rodica, stranamente composta, dimagrita,
senza il solito trucco, gli enormi orecchini a pendaglio, gli abiti
vistosi, che la guidò in salotto e
le comunicò che suo padre si era ammalato di Alzheimer già da tempo, ma che era
improvvisamente peggiorato e che non l’avrebbe probabilmente
riconosciuta.
E’ tornata a
fare la badante fu il primo pensiero di Irene.
Come mai non me l’avevi fatto
sapere?
Non volevo
allarmarti, con le cure sembrava sotto controllo, poi improvvisamente la
situazione è precipitata…Ho avvisato prima Giorgio, che è arrivato
ieri..
Giorgio! Da quanto non l’aveva più
sentito?
Ed eccolo sulla soglia, un uomo ormai, un bell’uomo che
le va incontro, l’abbraccia, la stringe…
Il groppo di dolore che Irene da troppo tempo aveva in
gola finalmente si sciolse in tutte le lacrime ingoiate per anni.
Raccontò, raccontò le umiliazioni, la solitudine, i
maltrattamenti, la clinica, la gravidanza, la
fuga…
Giorgio e Rodica l’ascoltarono con
pena.
Alla fine il fratello decise: Ora andiamo a salutare il sign ( stava
per dire il signor Michele) tuo padre e
dopo che ti sarai riposata e rifocillata
(in realtà a Irene era venuta una gran fame) ce ne partiamo per Firenze, te ne vieni a
stare da me.
Ma…Virginia che
dirà?
Virginia,
rise Giorgio, è
la psicologa più disordinata del mondo, non potrei mai convivere con lei. Anche
se ci amiamo, viviamo in due appartamenti diversi. Non ti preoccupare, a casa
mia c’è posto per te e per il bambino..Se mai, Virginia ti potrà aiutare a
liberarti dai fantasmi del passato, a guarire…E se te la sentirai, potrai
aiutarmi nello studio…
Questa volta Irene pianse lacrime di riconoscenza:
d’improvviso il suo cielo si rischiarava, sentì che poteva farcela.
E adesso
smettila di versar lacrime, mi hai inumidito la camicia, scherzò
Giorgio prendendola a braccetto.
Il suono del campanello fu così forte che Nicola trasalì:
Chi
diavolo..
Vera scomparve in cucina, mentre il marito apriva la
porta e si trovava davanti un Paolo sconvolto, a dir poco furioso, che lo
investì subito:
Capisci che cosa mi è successo?Ritorno ieri sera da
Milano, stanchissimo, stamattina mi precipito in clinica come d’accordo e…non la
trovo! La caposala con un sorrisetto ironico mi presenta il conto e mi dice che
Irene è stata dimessa, per sua richiesta, ieri mattina! Capisci che figura?
Corro a casa e verifico che il suo armadio è semivuoto…mancano le valigie..Chi
l’ha aiutata, mi chiedo, non può aver fatto tutto da sola, ma se qui non
frequentava nessuno…Agli sms che le ho subito mandato ha risposto una sola
volta: E’ finita, non tornerò mai più con te… Poi ha spento il cellulare..Ho
telefonato a Napoli, quella puttana della matrigna mi ha risposto che è stata
effettivamente a trovare il padre, il quale ha l’Alzheimer e non l’ha nemmeno
riconosciuta, e che è ripartita stamattina, ma lei non sapeva per dove…Adesso
vado a Napoli e la metto sotto torchio…
Che le è preso? E dove cazzo può essere andata?Dal
fratellastro? Ma se da anni avevano perso i
contatti…
Nicola, sconcertato, a questo punto tentò di interrompere
quella fiumana di parole:
Aspetta, siediti,
ragioniamo…
Vera apparve sotto l’arco della porta:
L’ho aiutata io.
Come? I due uomini
fecero entrambi un passo verso di lei, Paolo aggressivo, Nicola
preoccupato.
Avevo capito da molto tempo che la picchiavi, sai?Dai
vestiti accollati anche d’estate, la pettinatura, gli occhialoni da sole, gli
strati di fard per coprire i lividi..
Una volta
perfino zoppicava…
Mentre Vera parlava, Paolo si era lasciato cadere su una
sedia, terreo in viso.
Lo dissi a Nicola, ma lui non volle
intervenire…
Mi ha chiamato l’altro ieri, mi ha raccontato tutto,
l’ultimo episodio delle costole rotte…
Ma se le ho
chiesto scusa…Paolo quasi gridava: Ma se eravamo d’accordo che tutto sarebbe
ricominciato tra noi, che ero cambiato, che avremmo fatto la terapia di
coppia…
Non ti crede
più, quante volte le avevi detto le stesse
cose?
Ma adesso è proprio vero, sono veramente
cambiato…
Ma lo sai perché vomitava? Non te lo sei mai chiesto?
Sì è vero, quella maledetta sera
vomitò…
Perché era
incinta, incalzò Vera, e
perciò non tornerà mai più con te, che magari le avresti chiesto di abortire o
l’avresti maltrattata pure in quello stato e lei vuole tenere il bambino,
salvarlo …
L’uomo da terreo era diventato
paonazzo
Incinta,
ripeteva, com’è
possibile? Debbo andare, ritrovarla, devo
convincerla…
Aspetta,
l’amico voleva trattenerlo, ma Paolo si svincolò e
infilò l’uscio senza salutare né altro, come un
pazzo…
La notizia del grave incidente d’auto sull’autostrada,
dovuto all’alta velocità
del conducente, in cui Paolo era rimasto coinvolto
morendo sul colpo, Vera la dette prima a Giorgio, che con ogni cautela la
comunicò alla sorella.
Irene pianse, pianse di tristezza, di pietà, ma anche, fu
costretta ad ammetterlo dentro di sé, di sollievo…
6 commenti:
Letto trattenedo il respiro, quanti drammi nascosti da un po' di trucco, però il mondo non cambia mai e i più deboli soccombono sempre.
Ciao e grazie
Un racconto profondamente triste nonostante il riscatto finale. Forse la pena più grande è per il marito aguzzino, lui come molti come lui, incapace di conoscere e provare amore e rispetto per l'altra, capace solo di affermare con le botte il possesso di un'altra persona per tentare di oscurare la sua nullità feroce. Quando finirà la violenza verso le donne e comunque verso i più deboli, che nasce dall'oscurità dei tempi e continua fino ad oggi?
Un racconto intenso di grande forza narrativa, che suona come terribile monito contro le situazioni di violenza sulle donne, sin troppo diffuse in questa Italia che vuol dirsi moderna.
Una storia che , purtroppo, fa parte de teato della vita.
Piena di mille situazioni, di sfaccettature diverse, ma che spesso troviamo nel percorso del nostro cammino .
Per la serie , così è il destino, ed è bene ciò che finisce bene!..A volte....
Anch'io ho letto col fiato sospeso questo raccontodi R.L. ancora più intenso delle sue poesie, così triste ed attuale nello stesso tempo. Però sono contenta che stavolta la giustizia divina abbia colpito chi lo meritava.
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