Non hanno che voci
di foglie e di vento
i morti
e se si affacciano al fiume
di notte
vanno con lievi passi come
di danza
non lasciano tracce.
I vivi solleciti curano
i fiori
ma i morti solo hanno sete:
bevono lacrime
e rugiada dall’erba
prima che il sole l’evàpori.
Alti alberi intorno controllano
il cielo,
solo il salice è curvo:
carezza con teneri rami
le carni di marmo di un bimbo
che legge a una tomba
un racconto d’eternità.
R.L.
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lunedì 26 luglio 2010
NEL CIMITERO SULLE RIVE DELLO SPREA
Pubblicato da Nicolanondoc alle 20:11 21 commenti
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sabato 24 luglio 2010
UN PLAID
E’ strano come, in certi momenti particolari della vita, un oggetto possa coagulare desideri e speranze, aspirazioni, sogni e perfino decisioni.
Passavo per piazza Dante. Avevo un passo svogliato, indeciso, incerto, così come mi sentivo io dentro, svogliata, indecisa, incerta.
Avevo trenta anni, un lavoro sicuro (ero maestra elementare di ruolo) e due pretendenti alla mia mano!
Ma anche un passato di tristezza e sgomento, vissuto tra genitori sempre in disaccordo, esacerbato dalla malattia mentale della prima figlia.
Mi sentivo perciò, nonostante tutto, infelice, senza voglia di scegliere, di progettare.
Mi fermai all’angolo della piazza, davanti alle vetrine di un famoso e antico negozio di biancheria, ora scomparso.
Su un ripiano, drappeggiato morbidamente, c’era un plaid di lana, a riquadri grigi, rosa e neri.
A casa mia, dove la trascuratezza e il disordine sottolineavano e aumentavano i disagi, non avevo visto mai nulla di simile.
Un plaid caldo ed elegante.
Da metterlo addosso, per stare al caldo, sdraiata su un divano.
Da distendere sul letto, per farci l’amore sotto, in allegra complicità.
Da avvolgerci un bambino.
Un plaid.
Entrai nel negozio, lo comprai: mi sarei sposata.
Pubblicato da R.L. alle 12:18 10 commenti
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sabato 17 luglio 2010
IL CIELO...SUL MIO TERRAZZO
Pubblicato da Nicolanondoc alle 20:31 19 commenti
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giovedì 15 luglio 2010
A PEPPE LANZETTA
Senti che sono qui le tue
inestirpabili radici:
le senti senza incertezze
e fastidi residui
nella Saletta Rossa di Guida
mentre questo ragazzo di periferia
riaccende caparbio amore
per la città dannata,
ti riconosci nella storia, nello sguardo
nella lingua: ti immergi nell'onda lunga
di dialetto succoso corposo balenante
rabbia e utopia:
strappa viscerali consensi
al civile razionale dissenso..
Pubblicato da R.L. alle 13:51 3 commenti
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sabato 10 luglio 2010
IL FASCINO DEGLI..IPPOPOTAMI :-)
Hai visto quel tipo? Quanto è grasso!!! Ecco le parole che fanno male, perchè non ci si aspetti che queste persone, oltre ad essere un pò sopra il peso:-) siano anche sorde!!Però si sa, l'uomo è fatto così, allora se si incontra un "vecchio amico" che non si vedeva da secoli, la prima cosa che non bisognerebbe dirgli è: maròòòòòò come sei ingrassato!!Le persone "grasse" sono sensibili, più di quello che si immagina...cerco di fare attenzione a come parlo, anche perchè mi viene in mente un episodio della mia "tenera infanzia"..c'era un povero ragazzo veramente ciccione, e noi, crudeli, come lo sanno essere solo i bambini lo chiamavamo "panz e' vierm" (pancia di vermi), perchè nel nostro immaginario nel suo pancione esagerato c'erano solo questi esseri immondi....Lui sorrideva, era un pò più grande di noi, ma ci accompagnava ed un pò ci guardava quando scorazzavamo in giro sugli alberi arrampicandoci come scimmie, era sempre pronto a darci una mano a scendere:-) Un giorno restammo soli, gli altri erano andati via (un pò più piccini) e noi ci scambiammo quattro chiacchiere, ricordo ancora, come fosse ora, le parole che mi disse: -"i bambini ti ascoltano, solo tu puoi farli smettere con questo assurdo soprannome che mi fa star male"-, come dirgli che ero stata proprio io quella che glielo aveva affibiato? Mi sentii un pò male, ma reagii subito e cominciai a chiamarlo per nome: Gustavo...Certo che anche il nome lasciava un pò a desiderare, ma era meglio di niente:-) Così, anche adesso, quando vedo un "ciccione" mi viene in mente il tenero Gustavo e mi guardo bene dal fissargli il pancione..anzi lo guardo negli occhi ed ottengo un sorriso:-)
Pubblicato da riri alle 08:24 11 commenti
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domenica 4 luglio 2010
giovedì 1 luglio 2010
pirichiz ciomber
Da piccola facevo giochi solitari, per esempio con i bottoni di mia madre, chiusi in una scatola di biscotti, col coperchio un po’ arrugginito…
Diventavano monete per un mercato, in cui ero insieme venditore e compratore, oppure tessere di mosaico o coralli per lunghe collane variopinte…
Un giorno mi invitarono a giocare con loro due sorelline che abitavano nello stesso caseggiato, due piani più in alto, e con loro c’era pure un’amichetta, di qualche anno più grande di noi.
Mi assegnarono un nuovo nome, Paola: spesso giocavamo alla scuola, con piccoli quaderni ricavati da quelli grandi, matite, penne e tutto, facevamo il dettato e risolvevamo problemi, la più grande fungeva da maestra, severissima: era probabilmente per lei un gioco di proiezione, liberatorio, comunque ci divertivamo lo stesso, né c’erano altri giocattoli, che io ricordi. Forse una palla? Ma in casa era proibito usarla e in cortile non si scendeva mai.
Un pomeriggio che le raggiunsi più presto del solito, le trovai a parlottare in uno strano linguaggio, mi spiegarono che l’avevano inventato loro, ma non me ne vollero mettere a parte e subito cambiarono registro: io ci rimasi malissimo, mi sentii esclusa, respinta, frustrata, ma non osai protestare, timida com’ero.
Da allora le frequentai sempre meno, poi la guerra e gli sfollamenti ci divisero definitivamente.
Mi sono rimaste però nella memoria due parole che ero riuscita a sentire distintamente mentre mi avvicinavo a loro, pirichiz ciomber, e di cui mi rimase oscuro il significato.
E ogni volta - ahimé quante - che non afferro fino in fondo il senso di un discorso, ogni volta che mi sento esclusa, che mi scontro col senso misterioso della vita, mi tornano in mente quelle due incomprensibili parole: pirichiz ciomber…
Pubblicato da R.L. alle 12:56 5 commenti
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